Yousuf Karsh, nato a Mardin nel 1908, fotografo canadese di origine armena. Mardin, infatti, si trova nella parte occidentale dell’Armenia, attualmente facente parte della Turchia. A quattordici anni è costretto a fuggire in Siria insieme alla sua famiglia a causa delle persecuzioni attuate nei confronti degli armeni. A sedici anni viene mandato in Canada, a Sherbrooke, nella provincia del Quebec, dove vive insieme ad uno zio, il cui lavoro è appunto quello di fotografo. A sherbrooke compie studi regolari, ma nel tempo libero aiuta lo zio nella sua attività professionale; questi accortosi del talento del nipote, gli procura un posto come apprendista a Boston, presso il fotografo John Garo. Tornato in canada, con una buona preparazione, decide di parire un proprio studio ad Ottawa, a due passi dalla sede del Governo. Qui per caso viene scoperto da Mackenzie King, all’epoca Primo Ministro canadese. King lo introduce nell’ambiente politico, commissionandogli diversi ritratti di dignitari stranieri in visita ufficiale in Canada. In questo modo il nome di Karsh comincia ad essere conosciuto e apprezzato, ma la vera “consacrazione” avviene nel 1941 quando ha l’opportunità di fotografare il primo ministro britannico Winston Churchill, in visita proprio ad Ottawa. Questo ritratto sarà quello più utilizzato e riprodotto di tutta la storia. L’elenco dei personaggi famosi da lui fotografati è lunghissimo: solo per citarne alcuni: Moravia, Einstein, Warhol, A. Hepburn, C.Gable, D. Eisenhower, Hemingway, Fidel Castro, Jackie Kennedy, Indira Gandhi, John F. Kennedy, Muhammad Ali, Picasso e Grace Kelly. Le sue opere possono ammirarsi in diversi musei in tutto il mondo, in Canada come al MOMA, in Francia, in Inghilterra etc. Yousuf Karsh è morto a Boston, nel 2002. Ancora oggi le sue immagini dovrebbero essere studiate e analizzate dai giovani fotografi, soprattutto quelli interessanti all’arte del ritratto. Karsh infatti sosteneva che fotografare una persona significava ritrarre non le sue fattezze esteriori, bensì quella particolare energia che ognuno ha dentro di sé; da qui anche l’importanza che egli attribuiva al rapporto che è necessario instaurare tra fotografo e soggetto: scegliere le “parole giuste” affinché la luce interiore di quest’ultimo venga fuori in tutta la sua potenza.